“JUST 4 MY NAME” – Uno storytelling fotografico sul trainbombing

“Just 4 My Name” è un progetto fotografico nato da un’idea di Vints insieme all’amico, writer e fotografo, Giorgio Lombardi, che racconta la tipica giornata di un writer in una yard ferroviaria.

Ciao Vints, “Just 4 My Name” è un progetto fotografico dedicato al mondo dei graffiti sui treni, sviluppato nelle cosiddette “yard”, tra binari e stazioni. In che momento ti è venuta l’idea di realizzare questo reportage e perché? Come mai hai deciso di intitolarlo “Just 4 My Name”?

Dunque, questo progetto fotografico racconta la giornata di un writer, nasce tra i muretti a secco del Salento da una mia idea, ed è stato concepito e realizzato in stretta collaborazione con il mio amico Giorgio Lombardi, writer e fotoreporter. Rispetto alla tua domanda, le motivazioni possono essere un po’ quelle di chiunque si appassioni a qualcosa, e senta a un certo punto l’esigenza di condividerla e mostrarla alle altre persone, ai non addetti ai lavori, dall’interno. La narrazione è sequenziale ed è focalizzata prevalentemente sui dettagli, in modo da rendere ogni aspetto e fase, nel nostro lavoro documentario, il più fedele possibile, proprio perché è un lavoro che vuole arrivare soprattutto a chi non ha alcun tipo di familiarità col tema. Tutto qui. Il titolo racchiude in sè quello che sostanzialmente è l’aspetto fondamentale che contraddistingue lo spirito attitudinale di questa disciplina, che la differenzia, per modalità e intenti, ad esempio, da tutte le altre sorelle minori a cui si riconduce il termine “street-art”.

È noto che il writing, dalla sua nascita, è basato sullo studio del proprio stile di lettering, sul fatto di sviluppare e incastrare forme, per dar vita alle lettere che compongono il proprio nome, in un’ottica evolutiva. Il proprio nome come metafora figurante un certo dissenso, come l’innalzamento senza compromessi del proprio animo ribelle, del concetto di esistenza stessa, e anche del proprio ego, sicuramente.

In una delle foto è rappresentata una scena della pianificazione dell’azione. Vuoi raccontarci come si svolge generalmente questa fase? E secondo te in che modo e perché, invece, l’esperienza dei graffiti può creare forti legami tra le persone?

Beh direi che come per qualsiasi tipologia di progetto o di obiettivo, più la pianificazione è dettagliata e precisa, e più il risultato sarà soddisfacente. È fondamentale l’aspetto progettuale soprattutto quando si parla di un’attività illegale. Chiaramente l’impegno a monte varia a seconda della tipologia di yard o comunque dei posti in cui andare a dipingere, in funzione del pericolo potenziale.

Spesso, soprattutto per i posti con cui non si ha troppa familiarità, c’ è bisogno di fare appostamenti, di studiare i movimenti, gli orari, passarci quindi delle notti ad osservare. Poi si, sicuramente il fatto stesso di condividere dei bei (non sempre) momenti e situazioni extra ordinarie con un’altra persona, in qualche maniera ne arricchisce il legame. Una sorta di complicità, in una comunione di intenti romantica e perversa, per così dire.

Non saprei come esprimere diversamente questo aspetto, non è facile rendere a parole certe sensazioni e certi ricordi. Ho dei fotogrammi stampati in testa, avventure e profumi che forse solo chi era con me in quel momento può comprendere a pieno. Questo è quello che mi piace pensare ed è la mia visione rispetto alla mia esperienza, ma non è sempre così, o probabilmente non per tutti. Il writing è una disciplina, il più lo fa la persona. Com’è per qualunque tipo di rapporto, qualunque, dove dovrebbe esserci sempre uno scambio.

Senza dubbio quella di dipingere i treni è una delle esperienze più estreme, ambìte e singolari nel mondo dei graffiti, tant’è che in tutto il mondo è oggetto di repressione sempre più rigorosa. Secondo il tuo parere, cosa spinge realmente un writer ad azioni spesso spericolate, che possono talvolta comprometterne il casellario giudiziario? Credi sia prevalentemente una questione di emozioni, o cosa?

Sappiamo che questo movimento si basa fondamentalmente su due principali diramazioni filosofiche e pratiche, vettori paralleli e coincidenti allo stesso tempo. Quindi, fondamentalmente, da un lato c’è chi predilige maggiormente la ricerca personale e lo studio costante legato al proprio stile, finalizzati, nel migliore dei casi, al concetto di originalità come per qualsiasi ambito o linguaggio artistico. Ciò ha bisogno necessariamente di una costanza e di una disponibilità di tempo tale, anche e soprattutto di realizzazione (di un pezzo), da rendere possibile uno sviluppo evolutivo più completo e personale possibile. Dall’altro chi si focalizza principalmente sulla quantità e sulla velocità di esecuzione, nonché sulla semplicità e leggibilità delle lettere in modo da ridurre al minimo il processo di decodificazione da parte del fruitore.

Dal momento che il campo in cui si gioca la partita non è altro che il tessuto urbano delle città, credo che in nessun altro movimento sociale\culturale\artistico il concetto di fruitore sia stato così esteso, trasversale e diretto come in questo. Penso sia anche questa assenza mediale tra creatore e osservatore a spingere il writer ad azioni con un ampio fattore di rischio, che si traduce naturalmente in una maggiore carica ed immersione emotiva.

Hai tirato in ballo le emozioni, ed è proprio questo il centro focale, da cui, secondo me,  prende vita la necessità di spingersi oltre, di voler scoprire posti nuovi, e sperimentare nuove azioni sempre più, come dici tu, spericolate. Diventa una specie di dipendenza. Come per un eroinomane, a un certo punto una sola dose al giorno non basta più!

In ogni caso, credo che l’aspetto della costanza nella pratica, in ogni fase di lavoro, oltre che la predisposizione alla sperimentazione, a prescindere dalle modalità d’approccio di ognuno, siano basilari ai fini della crescita e quindi della soddisfazione creativa ed emotiva. Come per qualsiasi cosa, più la si fa consapevolmente e magari con un buon motivo, più sarà soddisfacente e utile sia per chi lo fa che per chi ne fruisce\usufruisce. È ovvio che lo studio ha un ruolo fondamentale nell’aspetto della consapevolezza. Ad oggi, moltissime persone, grazie e tramite la pratica formativa dei graffiti e dell’aerosol art, spesso intrapresa in giovane età, hanno, col tempo, abbracciato altre strade artistiche, nuovi linguaggi, con un buon bagaglio motivazionale e progettuale, e una buona dose di coraggio e tenacia. Me compreso.

Hai qualche aneddoto particolare di nottate in yard che ti va di raccontare?

Di aneddoti ce ne sarebbero da raccontare. Tralasciando i più tristi, in giro per l’Italia, di fughe e milze sottaceto, uno dei più belli riguarda la notte di una decina d’anni fa, in cui, a un certo punto, ho visto sbucare da sotto il vagone di fronte a me, un cucciolo dolcissimo, un cagnolino tenero e spaventato, abbandonato. È rimasto tutto il tempo lì con noi, seduto accanto agli spray, era già parte del gruppo, bastardino com’era. Quando Flavia è venuta a recuperarci e mi ha visto entrare in macchina con il nuovo amico fra le braccia, se n’è subito innamorata e abbiamo deciso di adottarlo, il super Bin!

Quali sono secondo te le crew e i nomi storici che più di tutti hanno lasciato il segno in questo movimento in Italia?

Tanti sono i writers che per primi hanno dipinto i loro nomi e che hanno intuito la possibilità di sviluppare le forme, le composizioni, e gli incastri. Cose che adesso, cinquant’anni dopo, possono sembrarci scontate. Anche in Italia, mentre io ero nella culla, tante sono le persone, che hanno in qualche modo importato questa disciplina e gettato il seme che han coltivato le generazioni successive fino ad oggi. Mi vengono in mente  le prime pezzate dei CKC di Milano, Flycat, Spyder7, Kay One, AskOne, gli e2e spaziali dei PDB, la 16K, la ZTK e la TRV Crews di Roma. Beh direi che il contributo di Phase 2 è stato molto importante per l’Italia, sia a livello stilistico che disciplinare. Dayaki, Duke-T, la FCE, la SPA qui a Bolo.

Fa sempre un certo effetto rivedere le vecchie fanze italiane e certi stili super selvaggi, loop intrecciatissimi e colorazioni che sanno riportarti indietro nel tempo, parlarti di un’energia genuina, fervente, positiva. A me in realtà piacciono molto anche gli stili più nuovi, quelli più morbidi, contaminati da nazione a nazione. Anche oggi c’è tanta gente molto forte e in costante attività, forse manca solo un pò più di apertura mentale e umiltà, soprattutto nei più giovani.

Pace a tutte le persone che ho conosciuto grazie a questo micro-mondo e un grazie immenso al team di ThrowUpMagazine per lo spazio e la disponibilità!

Guarda il progetto completo su Behance »

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