Sheik, dalla Sardegna a Bolo in cerca del proprio spazio

Sheik è nato e cresciuto immerso nell’ Hip-Hop essendo fratello di uno dei membri dello storico collettivo Rap sardo La Fossa. In questa intervista ci ha raccontato dei motivi che l’hanno spinto a lasciare l’isola per nuovi lidi (Milano prima, poi Bologna), del suo legame con Propaganda, della sua predisposizione al live, del suo album con il produttore Zizzed e tanto altro…

Ciao Sheik. Puoi raccontarci di come ti sei avvicinato all’Hip-Hop? Se non sbagliamo tuo fratello era produttore dello storico gruppo sardo La Fossa. Quali sono i tuoi ricordi di quel periodo?

Ciao ragazzi. Ho iniziato ad appassionarmi alla musica, soprattutto all’Hip-Hop, all’età di 11 anni, nel 2001.  Mio padre ha sempre suonato il basso e la chitarra. Mio fratello Matteo (Martinez) stava chiuso tutto il giorno in cameretta a produrre i beat di “3”, il disco dei La Fossa. L’altro mio fratello, Alessio, rappava ed aveva già attive diverse demo, oltre ad essere uno tra i migliori writer della provincia con il suo stile 3D molto apprezzato ed innovativo all’epoca. Dopo l’uscita del disco de La Fossa, mi venne data la possibilità di utilizzare i beat scartati dalla produzione del loro album. Così iniziai a scrivere il mio rap sui beat scelti e registrai il mio primo demo in cameretta, grazie all’utilizzo di un vecchio Pentium, Cubase VST, uno Shure SM58 legato a un bastone di scopa che stava sù con il nastro da pacchi. Ripensando a quel periodo non posso che definirlo magico.

In che modo ti ha influenzato La Fossa e la scena isolana dell’epoca e in che modo si è evoluta oggi?

La scena isolana dell’epoca era molto attiva e molto agguerrita. Vuoi o non vuoi il fattore “isola” ha sempre creato delle grandi rivalità interne, essendo un ambiente “chiuso”. L’aspetto che più mi ha affascinato dei gruppi La Fossa, Menhir, Ganasana (solo per citarne alcuni) era sicuramente il modo di scrivere: beat molto forti, liriche dirette e pochi peli sulla lingua.
Per quanto riguarda gli sviluppi interni all’isola, ho un pò perso di vista tutto e tutti, molti sono partiti e altri sono andati alla ricerca di nuove realtà. Un po’ come me. L’ambiente poco incline al cambiamento e la continua presenza di gossip interni alla scena, mi hanno convinto a tagliare il cordone ombelicale e andare via dalla Sardegna.  Ciononostante, non dimenticherò mai le mie origini e il mio passato, perché mi hanno permesso di diventare quello che sono oggi.

Quando hai preso la decisione di voler far musica anche tu e prendere in mano il microfono? Cosa ti ha spinto piu’ di ogni altra cosa a voler intraprendere questa strada?

Ho preso questa decisione a 12 anni, alle scuole medie. Durante la lezione di educazione fisica mi fermai nel playground adiacente la palestra e incominciai a fare freestyle con dei ragazzi più grandi che stavano là.
Ne rimasero colpiti, così mi invitarono la sera stessa a fare un po’ di freestyle con loro. Lì ebbe inizio tutto. Volevo rappare, punto. Mi sentivo attirato da quella roba, da quel ritmo, dalla metrica dei testi.

Il rap era la mia rivalsa verso il mondo esterno. Mi faceva e mi fa sentire invincibile, e questo mi ha aiutato molto a superare il periodo dell’adolescenza e a farmi valere tra i coetanei, e non.

Come nasce il nome Sheik?

Il nome Sheik deriva da SHAKE, come mi chiamavano gli amici in piazzetta. Quando facevo il freestyle ero sempre agitatissimo e durante un botta e risposta uscì questo nome. Me lo presi subito, soprattutto per la bellezza delle lettere. Avevo un’altra passione ai tempi, ed era quello del Bombing e delle Tag, motivo per cui da Mc scelsi di modificare le lettere in SHEIK per rendermi meno riconoscibile.

Tu ora vivi a Bologna, una delle storiche capitali del Rap italiano…Come mai hai scelto di trasferirti proprio a Bolo?

Prima di Bologna ho vissuto per sei anni a Milano. Avevo necessità di tornare in una città a misura d’uomo per tirare un pò il fiato. Milano mi stava lentamente asciugando per la grande frenesia e per la pressione di dover per forza diventare un prodotto vendibile. Stavo perdendo di vista il vero motivo per cui volevo fare il Rap. Tuttavia, continuo a fare la spola tra Bologna e Milano, dove continuo a portare avanti diversi progetti. Bologna, a differenza di Milano, è molto più tranquilla, più vivibile e meno competitiva, l’ho scelta per questo.

Com’è oggi la scena Hip-Hop bolognese dal tuo punto di vista? Ne sei partecipe in qualche modo e sei in buoni rapporti o ti capita di collaborare con qualcuno di Bologna?

Non è la Bologna dei bei tempi, quelli ormai sono andati e non torneranno più. Comunque sia, la scena bolognese attuale è molto attiva e mantiene un buon fermento. Ho già fatto diversi live in città, compreso al Link, istituzione bolognese. L’8 Ottobre ho avuto il piacere di aprire il concerto di REKS dall’America, insieme a Brain che è diventato un carissimo amico e che reputo un pilastro della Bologna Rap. Per il resto sto lavorando a diversi singoli con un producer sardo che sta qui da più di dieci anni, Kiquè Velasquez. Vedremo cosa succederà.

Di recente hai pubblicato “In Se Ipso”. Puoi raccontarci qualcosa dell’album per coloro che non hanno ancora avuto modo di ascoltarlo? Che significato ha il titolo?

“In Se Ipso” dal latino “in se stesso”, è un viaggio dentro sé stessi alla ricerca di una chiave di lettura per comprendere questa nostra società. È il mio miglior lavoro, sia grazie alla collaborazione con veri professionisti sia grazie alla magia che si è creata come gruppo. Zizzed, produttore di fama nazionale, è riuscito a tirarmi fuori dai miei standard amalgamando il mio rappare duro, dritto in faccia, a sonorità più melodiche ed emotional.

Poi Jamie Fields, un produttore friulano di cui son sicuro se ne sentirà parlare molto presto e Chryverde, tra i migliori attuali producer del panorama nazionale. Il disco spazia da sonorità rap classiche, alla garage/trap, alle melodie, spinge sulle liriche, sul flow, sui suoni, ma sa prendersi anche qualche pausa, passando in rassegna in dieci tracce un po’ tutto il classico repertorio del rap.

In passato hai avuto modo di aprire live a tanti big italiani da Noyz Narcos  a Kaos…Come sono nate queste opportunità? E qual’è il live che ti è rimasto piu’ impresso?

I live sono sicuramente il mio punto forte. Li faccio da quando sono un ragazzino, ed ho imparato ad affrontare tutte le situazioni, da quelle nei bar con cinque persone, alle aperture con duemila.Penso che il fatto che per anni sono stato chiamato a performare prima di grossi artisti, sia stata nei miei confronti sicuramente una conseguenza meritocratica. Puntualmente, dopo che la gente veniva a sentire i live, il giorno dopo mi arrivava qualche proposta da altri locali per essere inserito nella loro programmazione. È una cosa che mi riempie di orgoglio e su cui punto tanto. Il concerto che più mi è rimasto impresso è stato nel 2016 con Noyz al Poetto di Cagliari, ha funzionato tutto benissimo e ho realizzato la mia miglior performance. Con lui e con tutto il team Propaganda abbiamo poi stretto un ottimo rapporto negli anni in cui stavo a Milano, sono persone vere e di enorme talento, capaci di trasformare la loro passione nel loro lavoro.  Sicuramente un punto di riferimento per tutto il panorama italiano. Tantissima stima.

Hai qualche nuovo progetto in cantiere o si prospettano novità importanti per il tuo futuro?

Io ho ancora tantissima fame. Ho in cantiere diversi progetti, sia sul fronte Milanese, sia su quello Bolognese. Sto lavorando a un nuovo disco e nel mentre sto mettendo via molti singoli. Di novità importanti ce ne sono, ma per scaramanzia teniamo la bocca chiusa e continuiamo a lavorare sodo. Solo il lavoro ripaga gli sforzi, e si sa, i sardi sono dei gran lavoratori.

 

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