OG BIGG DABB: «Mi piace che il suono sia classico e fresco come una Polo RL»
Abbiamo fatto una lunga chiacchierata con OG BIGG DABB, reduce dalla release del suo album “Little BIGG Italy”, interamente prodotto da Camoflauge Monk (super producer della Griselda Records), che racconta la provincia italiana e la cultura Hip-Hop underground attraverso le voci dei suoi diversi ospiti, compresi il Danno e Inoki.
Ciao OG. È un piacere farti finalmente qualche domanda e complementi per il tuo nuovo album prodotto interamente da uno dei migliori producer americani attuali, ovvero Camoflauge Monk (Griselda Records). Vorremmo però, iniziare chiedendoti di raccontare ai nostri lettori la tua storia: il tuo nome, infatti, ha viaggiato a lungo sotto i radar, ma in realtà sei attivo nella scena italiana da quasi 20 anni. Partendo dalla tua realtà, Grosseto, facendo Rap con i Garage Mob, insieme a Dj Shrek e la Shafy Click, prima, poi anche nel dietro le quinte come organizzatore eventi, girando tutta Italia e intrecciando connessioni e conoscenze. Puoi raccontarci meglio di questa tua lunga “militanza” nella scena, sia in veste di rapper, ma anche e soprattutto riguardo tutte le altre molte cose a cui hai contribuito dietro le quinte per spingere questa cultura non solo nella tua regione ma in tutt’Italia?
Buonasera ragazzi e grazie a voi per lo spazio. Ormai si sono una quindicina di anni di attività vera e propria in ambito hip hop, ho iniziato a fare il rap tanto tempo fa come primo approccio goliardicamente con il freestyle, già quando avevo circa quindici o sedici anni, in realtà però a quell’epoca dell’hip hop non ne sapevo niente, avevo dei cugini e amici 4, 5 , 6 anni più grandi di me ed essendo in un paese molto piccolo frequentavo quelli più grandi perché avevano i mezzi per spostarsi e, come loro, ascoltavo prima punk hardcore, poi da quello e le sue sfumature sono arrivato al reggae, poi il raggamuffin, e soltanto alla fine all’hip hop in senso vero e proprio. In quel periodo conobbi subito gli elementi di spicco della mia zona: Trais, DragOne e dj Skilla aka la Shafy Click. Gente che aveva fatto già tanta gavetta e aveva un talento cristallino che mi ha preso sotto la sua ala e mi ha aperto le porte a tutto mettendomi in contatto con tutti i più grandi del momento sia locali che un pò di tutta Italia e portandomi con loro ai live sia sotto il palco da fan a veder gli americani quando suonavano in Italia, che sopra il palco.
Di certo per me è stato molto importante tutto il percorso, perché mi ha permesso di ascoltare tanta musica di generi diversi e soprattutto mi ha fatto capire l’importanza della sottocultura in ogni genere musicale, di cui in qualche modo è sempre legata a doppio filo.
Ci sono cose che non sono solo una passione e per me fare questa musica è una di queste. Se dovessi dirvi un momento cruciale di svolta è stato il concerto dei Public Enemy all’Estragon di Bologna nel Febbraio 2008, io avevo 17 anni e dopo che ho visto quella cosa lì ho capito il legame tra L’Hip Hop in quanto sottoCultura come stile di vita e messaggio da tramandare e la musica e il vestiario ecc. Lì avevo già deciso definitivamente che in vita mia questa cosa l’avrei fatta ad ogni costo.
Possiamo dire, quindi, che questo progetto con il produttore di Buffalo (NY) della Griselda Records, Camoflauge Monk, sia il risultato di un lungo percorso e gavetta? Per quali motivi?
Tutto il mio percorso è stato fondamentale per la nascita di questo disco. In particolare, più che la gavetta in sé, il fatto di essere arrivati al punto di avere le possibilità, la fiducia e la capacità di poter parlare direttamente con uno come Camoflauge Monk nasce da anni e anni di percorso generale all’interno di certi ambienti.
Vissuto, che non è quindi solo “dipinto”. Approcciare uno sconosciuto americano 100 mila volte più conosciuto di te non è mai facile, a meno che tu non abbia una borsa piena di soldi, diciamo che nel nostro mondo invece ci sono cose, modi di comportarsi, che capisci solo nel momento stesso in cui li vivi. Cose che aprono più porte dei soldi, questa è un’ottima fortuna del circuito “di nicchia”. Va anche detto che sempre siccome sono uno a cui piace cercare la roba di cui “ha bisogno”.
Conoscevo Camo come producer anche prima che diventasse così affermato con le produzioni sugli ultimi classici Griselda di questi tempi. Lo seguivo già dai primi lavori, quindi ho potuto avvicinarlo in modo diretto, e quando siamo arrivati a parlare di beats eravamo già in contatto da molto prima,diciamo che mi conosceva.
Quindi non c’è stato bisogno di mosse di marketing o agenti in mezzo ne’ nessuna di queste cose, abbiamo fatto un affare da bravi ragazzi di strada quali siamo e basta.
Spesso, infatti, la gente in Italia guarda solo al risultato finale e pensa che certe connessioni siano frutto solo di fortuna o basti pagare gli artisti…in realtà dietro spesso c’è un percorso lungo di sacrifici, studio e relazioni. “Nulla nasce per caso”. Senti questa riflessione attinente alla tua storia? Qual è il tuo punto di vista?
Assolutamente sì: niente è stato un caso in questa storia e non si è parlato mai di soldi con nessuno in questo progetto, Camo ovviamente li ha presi ci mancherebbe anche altro lol.
Però è anche l’unico che non conosco di persona ed un artista molto conosciuto credo sia normale, in più è una persona estremamente intelligente e votata all’arte, vi assicuro abbiamo fatto un ottimo affare tutti, il migliore della mia vita finora…
Ma il punto per me non si limita sicuramente a questo, e più che altro il disco non è stato concepito così in nessun passaggio.
Io credo che non basti far nascere qualcosa, serve anche saperlo far crescere. E dico sia a livello della relazione tra gli artisti presenti nell’album, sia a livello di qualità della propria musica e della propria militanza generale nel cercare di far parte di qualcosa e cercare veramente di rispettarlo e tramandarlo addirittura.
Sarebbe stato completamente un altro tipo di lavoro se mai Little BIGG Italy fosse stato un album-omaggio o un prodotto senza concetto… però direi che non serve dire niente a riguardo, basta ascoltare per capirlo.
Come nasce il tuo rapporto con Camo Monk e come si arriva all’idea di un album interamente prodotto da lui?
Come già detto, lo seguivo da molto, e ho sempre pensato che fosse uno dei producer più forti in circolazione, con uno stile molto caratteristico. già dall’inizio produceva anche molte cose da solo poi, non solo con gli altri membri della Griselda. Avevo già parlato con lui via social qualche volta e quando stavo facendo C.H.E.F. che era un album a cui tenevo molto e su cui volevo metter almeno una “ciliegina sulla torta”. Mi decisi a chiedere a lui una produzione, era la prima volta che pagavo un beat in vita mia, facemmo un ottimo affare da bravi ragazzi di strada pure quella volta lì lol e me ne diede due (che poi sono stati trasformati nei brani “Vernissage” e “Terra Terra“).
Il disco andò bene, dentro c’erano anche altre leggende e miei maestri amici tipo Skizo e Ice One. Lo stampai su vinile in 200 copie circa di cui 150 numerato che in più o meno sei mesi ho venduto completamente.
Per ringraziarlo ne inviai una copia di C.H.E.F. a lui con relative dediche speciali. Camo apprezzò la cosa perché il disco era fatto bene, era un lavoro molto curato, seppur indipendente as fuck. Proprio in quell’occasione parlando si arrivò a concludere un altro ottimo affare un pò più grosso e scelsi i 7 beat che ora sono diventati “Little BIGG Italy”.
Io ero forte del fatto che avevo fatto qualche euro con i dischi e così abbiamo alzato l’asticella, si parla tanto di investire nella propria musica e io l’ho fatto per davvero lol. Il vero Pregio è che nel tempo che è passato lui è diventato ancora più forte ed ha continuato ad essere sempre presente nei veri e propri nuovi Classici che sfornano i nomi grossi dell’Underground. D’altronde è cosa risaputa che Chef Delbuono ha buon orecchio lol.
Per quanto recentemente la Griselda Records abbia riportato in auge un certo suono classico, Il suono delle produzioni di Camoflauge Monk è davvero per intenditori e cultori di questa roba. Suoni minimali, crudi e sample jazz. Una scelta comunque coraggiosa per il pubblico italiano…Da dove nasce questa scelta? Sei cultore della scena underground americana e a che punto è quella italiana? Cosa le manca per fare il salto di qualità?
Mah, il coraggio è un concetto relativo, se ci pensi: sarei stato più coraggioso a fare un disco con l’autotune o con Paky. Vedi, il punto è che a me, come a tutti quelli della Maremma finest, non ce n’è mai fregato nient’altro che fare qualcosa che fosse esattamente ciò che ci piace. E rispettoso al 100% nei confronti di una Cultura a cui dobbiamo molto a livello umano proprio. Punto.
Per quanto riguarda l’Italia, invece, la risposta riguardo al suo problema è facile ed è sempre la stessa da sempre: la conoscenza. Nell’Hip Hip c’è il concetto di knowledge, addirittura alcuni la definiscono la quinta disciplina. Io parlo anche e soprattutto della conoscenza della base musicale, di come si fa un beat e perché, del campionamento dagli altri generi musicali. Ma ancora di più Knowledge a livello culturale, un quadro generale di quando e dove e come è nata la cultura Hip Hop.
Secondo me è molto importante se si vuole fare qualsiasi sfumatura di ognuna delle discipline che lo compongono. Anche delle più “moderne”.Così come capire le differenze fra le zone di ogni luogo e i suoni diversi che da sempre partoriscono o altre cose del genere.
Secondo me si è un pò esagerato nell’additare alla cultura Hip Hop. In senso lato certi atteggiamenti di chiusura mentale che alcuni esponenti hanno avuto in passato o robe del genere. Non deve mai essere una cosa noiosa ed esclusiva, ma la ricerca la fai solo se cerchi e hai conoscenza e, senza ricerca, non può esserci un vero underground.
Oltre che anche a livello proprio tecnico per rappare bene e fare dei live seri e sapere quello di cui si parla, credo che manchi un pò di conoscenza generale e di “studio” di ciò che c’è stato prima e di come siamo arrivati a tutto quello che c’è ora.
Il titolo “Little BIGG Italy” è anche un’allusione alle numerose realtà di provincia italiane come la tua e la tua volontà di rappresentarle maggiormente. Da qui anche la scelta dei featuring come Pessimo 17, Kronos Kroniko, Doye Tex, Effe Kappa, Enema SDO, D.Ratz, Toni Zeno, Dj Shrek, Greis e Tenu. Puoi parlarci meglio di questa tua volontà di rappresentare la provincia italiana sul tuo album?
Più che volontà è essenza.Nascere in provincia è diverso…anche questo lo capisci solo vivendolo. Cambiano le persone, cambia anche la luce. In provincia la qualità è esagerata proprio perché nessuno accetta compromessi, perché tanto nessuno glieli chiede, e si è liberi di fare arte come vogliamo. A questo, però, corrisponde la poca o nulla esposizione al pubblico, un eterno problema.
Senza dubbio, però, i lavori artistici nati in questa atmosfera hanno uno spessore e una originalità che è difficile ritrovare in una grande città, in cui si lotta per il trend e il pubblico diventa un datore di lavoro. I ragazzi che ho scelto sono tutte persone con cui ho condiviso qualcosa di per me importante in questi ultimi anni, ragazzi come me, che spaccano tutto, accettano pochi compromessi e vengo fuori da realtà piccole.
Accanto a questi nomi dell’underground italiano di provincia, svettano poi i nomi di Danno e Inoki. Com’è nato il loro pezzo? Possiamo dire sia anche questo risultato di quel “lungo percorso” di cui parlavamo prima, in cui si intrecciano anche relazioni personali e artistiche durature basate sul rispetto?
Per me Simone (il Danno) e Fabiano (Inoki) sono sempre stati fratelli maggiori, amici e maestri. All’inizio il pezzo, Mantra, doveva essere solo con Danno e Toni Zeno ma poi è arrivato Inoki col suo freestyle niente meno che magico, che ha dato ancora di più a un pezzo storico come questo. Il percorso è davvero la radice di tutto e ha generato un amore e un rispetto a cui non si può dire di no.
Ovviamente anch’io come tanti andavo a scuola con i Colle der Fomento e Inoki nelle cuffie, un pezzo così per me è un’altra coppa dei campioni del rap da mettere in bacheca, è una cosa che non si può spiegare.
Sicuramente una delle particolarità del disco che ci ha colpito di più è il fatto che sia stato interamente registrato e masterizzato analogicamente in un noto studio di Grosseto, che rende ancora più profondo e reale il suono crudo delle produzioni di Camoflauge Monk. Questa artigianalità nella qualità del suono e nel mix&mastering che in pochi, oggi nell’era del digitale, possono vantare. Ci puoi spiegare meglio il perchè hai deciso di puntare su un mastering analogico e il perchè secondo te ciò aggiunge qualcosa di fondamentale a “Little BIGG Italy”?
Ammetto che noi siamo persone davvero fortunate perché a Grotown c’è il Side B studio di Alessandro Benedettelli. Lui è un vero professionista, con cui siamo cresciuti da bambini sia personalmente sia nella musica.
Alessandro è un fenomeno e uno dei più autorevoli esperti del settore. Lui le macchine le costruisce, quindi le conosce meglio di chiunque altro. Lui ha un background musicale dove aveva lavorato principalmente su altri generi e siamo stati proprio noi a “corromperlo”, facendolo sperimentare con l’Hip Hop le prime volte. Tutto ciò, compreso il suono completamente analogico e sartoriale, rispecchia ciò che siamo e come lo siamo.
Se ci rifletti un attimo, lo stesso be real è stato anche ciò che ha donato alla collaborazione con Camo Monk quel quid di originalità in più rispetto a tutti i suoni “che ricordano l’america” sentiti in Italia. E’ tutto un circolo ma in questo caso molto virtuoso (molto).
Hai ricevuto qualche feedback di Camo Monk a proposito dell’album?
Si Camo ci ha mandato la sua benedizione e ci ha condiviso storie e post, è un reale autentico Leader. Camo è anche lui un artigiano del suono e gli piacciono le cose ben curate. È un vero Artista. Mi limito a dire che mi ha dato tante soddisfazioni e che spero venga in Italia al più presto.. chissà che non ce lo portiamo..
Già nel 2°brano del disco (Pray For Tuscanyfornia feat.Granu & Trais) tu e i tuoi ospiti vi togliete subito diversi sassolini dalle scarpe e vi scagliate, senza troppi mezzi termini, contro diversi aspetti della scena musicale italiana che non digerite troppo… Cosa ti ha portato a fare questo brano?
Quando nasci in provincia, capita che ti finisca qualche sassolino nelle scarpe, d’altronde siamo abituati a camminare su strade meno battute. Noi parliamo ai nostri ascoltatori, non agli altri rapper. Detto questo, è evidente che il nostro modo di fare è molto diverso da quello degli altri, per capirlo basta ascoltare il disco. Il pezzo parla semplicemente del fatto che noi abbiamo sempre pagato il prezzo di venire fuori da dove veniamo fuori.
Se qualcuno dopo aver ascoltato “Little BIGG Italy”, volesse farsi un’idea del tuo percorso, quali altri tuoi album dovrebbe sicuramente ascoltare e perchè? Oltre a sonorità boom bap “classiche” hai sperimentato anche altri tipi di suono?
Tutti! D’altronde non sono molti, la maggior parte sono corti di durata e filano tutti lisci come il velluto. Togliendo dal discorso il primo, “TheMOBtape”, che è una specie di album mixtape tutto su beat originali che raccoglie i nostri lavori dall’inizio.
Uscì nel 2019 ma contiene pezzi che erano stati scritti nel 2012/13 forse prima, o giù di lì comunque. Era il nostro biglietto da visita e direi che ascoltato in quest’ottica rimane ancora oggi un lavoro di valore assoluto.
Togliendo anche questo ultimo disco, che ovviamente considero uno dei migliori forse il migliore a livello mio tecnico, sicuramente è fondamentale ascoltare C.H.E.F. , il mio primo LP solista. Ho fatto un solo disco con sonorità più lontane dalle mie scelte classiche ed è “D&G” EP (Delbuono & Granafine)”.
Prodotto da Granafine aka B.R.R. che è un maestro e uno dei migliori rapper e producer toscani di sempre, ha dato un tocco molto ricercato all’EP. In generale, però, penso che una delle mie caratteristiche migliori sia proprio quello di evolvere il mio suono rimanendo molto fedele alla foundation super Hip Hop e molto Hardcore da cui provengo.
Uscendo un po’ dal discorso musicale…Tu sei anche un grande appassionato e collezionista di capi d’abbigliamento, come tutta la roba Polo legata anche al movimento Lo-Life…Puoi parlarci di quando e come nasce questa tua passione per la moda di strada? Quali sono i capi o i brandi che ti piace più collezionare e quali sono i pezzi che reputi più pregiati della tua collezione? Perchè?
Purtroppo per me si, ho questa grave malattia lol. L’abbigliamento e lo stile secondo me sono fondamentali nell’Hip Hop e ti contraddistinguono quasi quanto il suono, è parte integrante della nostra cultura e sinonimo di appartenenza.
Grazie a uno dei miei maestri Granu from Pisa Est ascoltai in tenera età il materiale di Rack Lo e Thirstin Howl The Third, già ai tempi rimasi scioccato dalla faccenda ma non conoscevo la Lo Life e tutto il discorso intorno.
Una volta cresciuto, ho messo la testa a posto e cambiato stile di vita, ho iniziato piano piano a studiare sempre di più la storia della LoLife e a parlare con i suoi esponenti. Da lì in poi ho stretto contatti con loro e il passo a fare i primi “colpi” e iniziare a collezionare le prime robe è stato breve. Ovviamente non ne facciamo parte ufficialmente (per ora) siamo solo degli affiliati.
La Polo è la mia preferita in assoluto perché rappresenta benissimo quello stile “sia Classico che fresco allo stesso tempo” che mi piace dell’HipHop e che vorrei esprimere anche con la musica. Poi è Newyorchese ed io avendo origini Newyorkesi (mio nonno è nato li) la vedo un pò come una cosa obbligatoria.
I miei pezzi preferiti sono quelli delle collezioni Polo sport & Sportsman in generale le robe per l’outdoor. Tra le chicche pregiate in mio possesso… direi il maglione Aztec limited edition 1000 pezzi insieme a vari cappellini e marsupi introvabili. Ho anche tazze e vari oggetti più particolari e sono sempre attivo nel “digging” alla ricerca di qualche colpaccio. Cerco sempre robe nuove con cartellino e sempre di svoltarle, comprarle anche a resell ma allo stesso prezzo di retail o inferiore. Poi anche se solitamente ormai esco Polo RL “Head to toe” quasi sempre, sono molto fan e metterò per sempre tanti altri brani che adoro e che ho sempre indossato.
Prima fra tutte la Jordan, di cui ho una collezione di scarpe (che ancora coltivo) di tutto rispetto, da buon appassionato di basket super fan di Michael. Le mie preferite in ordine sono le Air Jordan 6,7,11,12,13. Di scarpe mi piacciono un sacco anche la air max 1, 90, e 95 oltre ad avere necessarie per sempre come scarpe essenziali le Air Force bianche e i Timberland Boots. Ma mi piacciono molto anche The North Face, Carhartt, Lacoste, Pelle Pelle, Sergio Tacchini, Fila ecc oltre le marche storiche da rapper anni 2000 tipo Karl Kani o Joker Brand, ho ancora qiualche pezzo che non venderò mai e ogni tanto sfoggio in momenti di nostalgia lol.
In generale mi piace ogni capo d’abbigliamento sia legato a doppio filo con la cultura Hip Hop e sia stato reso iconico da essa.
Hai dedicato diversi anni a “Little BIGG Italy”. Ora pensi di rimetterti subito al lavoro sulla tua musica o hai altri progetti futuri?
Nonostante Little BIGG Italy abbia richiesto più di un anno e mezzo di lavoro, anche per i tanti guests presenti, ovviamente sono già al lavoro su più nuovi progetti di pregio assoluto. Purtroppo, per sapere altro, mi sa che dovremo fare un’altra intervista. Vi disco solo che uno dei prossimi sarà un tributo proprio alla LoLife e conterrà delle sorprese che definirei incredibili…con calma.